Negli Stati Uniti, infatti, quasi un adulto su quattro ha segnalato la presenza di questa sofferenza nel 2023. Ma non tutto il merito – o la colpa – è da attribuirsi al long Covid. Ecco cosa hanno scoperto i ricercatori a riguardo.
Il dato più sorprendente riguarda l’aumento della prevalenza del dolore cronico, un fenomeno che ha colpito una fetta consistente della popolazione. Secondo le statistiche, il 21% degli adulti americani dichiarava di soffrire di dolore cronico sia nel 2019 che nel 2021. L’anno 2023, invece, ha segnato un drammatico salto al 24%. Quindi, basandosi su questi numeri, possiamo affermare che nel solo 2023 ci sono stati circa 10 milioni di adulti in più che hanno dovuto affrontare il dolore cronico rispetto al 2019. Un’impennata preoccupante, che desta non poche domande riguardo le cause e le circostanze.
Analizzando ulteriormente i tipi di dolore riportati dai partecipanti, sono emerse variazioni significative nelle diverse aree del corpo. I più frequenti mal di testa, dolori alla schiena e tensioni muscolari dimostrano un panorama variegato e complesso. Va notato però che la percentuale di persone che hanno segnalato dolori ai denti e dolori alla mandibola è rimasta sostanzialmente invariata. Un dato che porta a riflettere sull’evoluzione delle esperienze dolorose degli individui durante questi anni turbolenti.
Approfondendo le ragioni di questo fenomeno, il long Covid emerge come un fattore significativo nel contesto della pandemia. Secondo la ricerca, è responsabile del 15% dell’aumento di tutti i casi di dolore cronico. Questo è un dato importante, in quanto implica che molte persone stanno vivendo sintomi persistenti, oltre il periodo di guarigione dall’infezione iniziale da Sars-CoV-2. Tuttavia, i risultati dello studio condotto da Anna Zajacova e Hanna Grol-Prokopczyk rivelano che il long Covid non può essere considerato l’unica causa di questo incremento.
Le ricercatrici hanno sottolineato che altri aspetti della pandemia possono aver giocato un ruolo rilevante. Per esempio, l’isolamento sociale, che ha portato molte persone a trovarsi senza un sostegno adeguato, ha potuto favorire la trasformazione del dolore acuto in condizioni croniche. Non solo: il calo nell’accesso ai servizi sanitari e alle cure per il dolore ha contribuito ad un aggravamento delle situazioni già esistenti. Questo panorama complesso rende evidente che lo scenario di crisi sanitaria ha prodotto effetti a catena, impattando su vari aspetti della vita quotidiana.
Un ulteriore aspetto da considerare è come il dolore cronico stia influenzando le vite quotidiane degli adulti americani. Nel 2019, il 7,5% suscita attenzione poiché questo numero è salito all’8,5% nel 2023. Questo incremento rappresenta 2,6 milioni di persone in più che ora fanno fatica a gestire le normali attività di tutti i giorni a causa del dolore. È un dato che non solo suscita preoccupazione ma anche una riflessione sull’importanza di riconoscere come il dolore cronico non è un problema esclusivo di alcune fasce d’età o di determinati gruppi, ma un fenomeno trasversale che sta colpendo uomini e donne di tutte le generazioni.
In questo contesto di crisi, emergono chiaramente le necessità di implementare strategie che possano supportare le persone nella gestione del dolore. Ciò va oltre il semplice riconoscimento del dolore stesso; è essenziale investire in programmi di supporto e assistenza che possano alleviare la sofferenza e migliorare la qualità della vita degli individui colpiti. La scuola della vita ci insegna che ci sono sempre modi per affrontare le sfide; ora più che mai, l’umanità ha bisogno di affrontare insieme la questione del dolore cronico.
Il quadro generale porta a pensare a un futuro dove la salute mentale e fisica possano finalmente ricevere l’attenzione che meritano, non più trascurate dai servizi sanitari.